IN RICORDO DI FRANCESCA

A volte le parole sono come la neve. Non fanno rumore. Rimangono sospese nell’aria, come un sussurro che insegue una memoria.
Cadono con leggerezza, si sciolgono nel ventre della nostra Terra interiore e scompaiono, e tornano, e scompaiono, e tornano.
Chi scrive a volte ha bisogno di spazi vuoti tra le parole.
In quegli spazi chi scrive appoggia lo zaino ai piedi di un albero, si siede stanco, affamati e assetato per il lungo viaggio.
Ci vuole ordine, respiro, tremore.
Abbiamo con noi la nostra bussola?
E la coperta per le notti in cui avremo freddo?
Trasciniamo simulacri o memorie piene di verità?
Quali parole lasciamo andare?
Quali invece vogliamo scoprire?
Nel silenzio la parola fa il pieno, in quel vuoto ritempra sé stessa.
E riparte. Riparte sempre.
Francesca

LA DOLCE ‘VECCHINA’

Stamattina si respirava l’aria tersa di neve. Neve intorno a noi, poco più in alto.

Due passi sul lungolago, mentre la notte stava lasciando il posto al giorno.   Il solito caffè. Quattro chiacchiere.  Le notizie del giornale.

Non ti ho vista passare, come eri solita fare ogni mattina.  Le tue gambe malandate, il tuo bastone.  Passi lenti, attenzione nel camminare.   Andavi in edicola a prendere il giornale, poi ti incontravo a fare la spesa.  Mi abbracciavi e baciavi. Sempre.  Anni indietro, con la mia mamma, ci fermavamo a bere un caffè.  E qualche volta lo facevamo anche adesso. Avevi sempre parole di consolazione per tutti. E di speranza.  Tu che vivevi sola, senza la gioia dei tuoi figli, che ti avevano preceduto lassù.  Ma un sorriso non mancava mai, nonostante i dolori, fisici e morali e le gambe sempre più malferme.   E io a chiederti se volevi un passaggio in auto…tu risoluta dicevi che non dovevi smettere di camminare perchè ti faceva bene, anche all’umore.

Proprio l’altro ieri mi hai abbracciato. Mi hai detto che ogni giorno preghi per noi e per le persone care.

Se avessi saputo, ti avrei abbracciato ancora più forte…

Saluta tutti, lì dove sei ora, e, se c’è del buon caffè, bevilo.  Seduta al tavolo con la tovaglia a righe, circondata dalle persone che hai amato.  E dà un bacio per me alla Mariuccia.

Ti voglio bene, dolce signora.

LA NEVICATA DELL’85

L’anno prima, in estate, avevamo scoperto che quella riga scura sulla provetta saresti stata tu. Emozione, un pò di paura e qualche disturbo fisico, come tutte le mamme in attesa.

Un’estate calda e un autunno piacevole, mentre qualche anziano diceva che l’inverno sarebbe stato rigido e con molta neve.   Ovviamente incrociavamo le dita di mani e piedi, visto che non abitavamo in una zona molto comoda da raggiungere e la neve ce la dovevamo spalare…

Proprio in gennaio, se ricordo bene in questi giorni, inizio’ a nevicare di brutto. La Mariuccia diceva che non si ricordava un anno così, tranne che nel 1956, anno della mia, di nascita.

Nevicava, nevicava, le strade venivano pulite a fatica. Ci si metteva anche il freddo pungente a ghiacciare l’asfalto.

Eppure, la mattina, io e la tua nonna Uccia, uscivamo ben coperte e facevamo una passeggiata.  E tu sembravi gradire, perchè davi di quei calci che la pancia sembrava una piramide.

Ora la neve si fa attendere. Non ci sono più gli inverni di una volta.

Ma se guardo fuori mi sembra di tornare indietro e vedo due donne a braccetto sotto fiocchi di bambagia…